La cartina che riportiamo sopra è tratta da I Maremoti delle Coste Italiane, studio realizzato da Stefano Tinti, Dipartimento di Fisica, Settore di Geofisica, Università di Bologna. La cartina riassume visivamente i risultati riportati nel catalogo dei maremoti italiani, curato nel 1996 da Tinti e Maramai secondo un format definito da un pool di esperti nel corso del progetto GITEC-TWO (1996-1998: Genesis and Impact of Tsunamis on the European Coasts – Tsunami Warning and Observations). Si tratta dunque di un’opera “vecchia” ormai di una quindicina di anni e largamente conosciuta nell’ambiente scientifico. Nello studio si legge che: “Il catalogo, disponibile in rete nella versione aggiornata del 2004 (Tinti et al., 2004) al sito http://www.ingv.it/italiantsunamis/tsun.html, è il frutto della revisione di numerosissime fonti, nonché di alcuni cataloghi e di rassegne precedenti concepiti con altri criteri (v. Caputo e Faita, 1984) e per altri scopi (v. Boschi et al., 2000). Il catalogo, ulteriormente aggiornato a seguito di studi recenti (v. Graziani et al., 2006; Maramai et al., 2007) conta oggi 72 eventi … [e] copre gli ultimi due millenni … Il catalogo contiene soltanto sei eventi prima del 1600, il che significa che è largamente incompleto. Gli eventi sono abbastanza stabili negli ultimi tre secoli con una media di circa 19 casi ogni 100 anni.” Come si vede Livorno e la sua costa sono stati interessati da tre maremoti (o tsunami, come usa dire oggi). Dalla consultazione del citato catalogo vediamo che i maremoti che hanno interessato la nostra città sono avvenuti nel 1646, nel 1742 e nel 1846. Tali fenomeni sono ampiamente descritti nel libro: "Tsunamis in the Mediterranean Sea, 2000 B.C.-2000 A.D. di Sergeĭ Leonidovich Solov'ev. Basta aprire il libro alle pagine 84, 85, 86, 87 dove si parla soprattutto di tsunami avvenuti a Livorno! E con dettagli e particolari che ne evidenziano gli effetti. In una scala che va da 1 a 6 il maremoto del 1646 ha raggiunto la scala 3, con onde alte circa tre metri, quelli del 1742 e del 1846 la scala 2. I maremoti che hanno interessato Livorno, si legge nelle schede, hanno provocato onde alte, danni agli insediamenti umani (allora molto più modesti degli attuali) e affondamento di vascelli. Questo lo stato della letteratura scientifica. Queste notizie che il “Comitato contro il rigassificatore” ha raccolto in occasione della battaglia contro la costruzione del terminale al largo delle coste pisano-livornesi, ci sono tornate in mente a seguito del disastro di Fukushima, dove una catastrofe probabilmente epocale è stata causata da uno tsunami che i progettisti della centrale nucleare non avevano previsto. Eppure il Giappone è in zona sismica, eppure quel tratto di mare era stato teatro negli ultimi quattro secoli di altrettanti maremoti di intensità superiore all’8° grado della scala Richter (quindi di poco inferiori a quello avvenuto l’11 marzo scorso), eppure i giapponesi sono da secoli maestri nell’arte di difendersi dagli eventi sismici, tsunami compresi. Fatte le debite proporzioni sono evidenti le similitudini con Livorno e con il terminale di rigassificazione che, contro ogni logica, si vuole realizzare. Tanto più che a Livorno come a Fukushima il pericolo è stato largamente sottostimato. Nel maggio 2010, la società che ha avuto l’autorizzazione alla realizzazione del terminale di rigassificazione, la OLT, ha presentato il rapporto sulla sicurezza dell’impianto. Tale rapporto è attualmente all’esame della Commissione Tecnica Regionale che deve validarlo, dando quindi il via definitivo al progetto, per altro già in avanzato stato di realizzazione. Una sintesi di tale rapporto è stata pubblicata sul sito della Regione Toscana. Si tratta di un documento di 94 pagine di cui tre dedicate al rischio sismico. In realtà gran parte di questo striminzito paragrafo è occupata dalla tabella che elenca i terremoti che hanno interessato Livorno e il suo territorio. Nel commento alla tabella si legge che: “In nessun caso i dati riportati evidenziano danni da onde conseguenti al terremoto”. Alla luce di quanto riportato nella letteratura scientifica sull’argomento si tratta di un clamoroso falso. Sulla base di questo falso la sintesi della relazione tecnica si limita a sostenere che in caso di onda anomala: “evento comunque poco credibile, come si desume dall’indagine storica, si può affermare che il terminale possa assorbire l’oscillazione in virtù del brandeggio delle catene di ormeggio e della flessibilità della condotta discendente”. Si badi bene, la relazione dice che “si può affermare”, quasi fosse un parere, un punto di vista, una opinione. Non si tratta del frutto di uno studio che ha sviscerato la questione in tutti i suoi possibili aspetti, di una evidenza tratta da un approfondimento scientifico. La OLT “afferma”, come probabilmente “affermava” l’ormai famigerata TEPCO giapponese quando preparava i suoi omissivi rapporti sulla sicurezza dell’impianto di Fukushima. Non esiste uno studio sugli effetti sul terminale di uno tsunami come quello del 1646 o come quelli del 1742 e del 1846. La OLT esprime un parere. La OLT fa finta di non sapere che il terminale di rigassificazione, con le relative tubature di collegamento, attraversa una faglia sismica come fa finta di non sapere che l’area antistante la costa pisana-livornese è stata oggetto di tsunami di notevole portata. Noi invece sappiamo benissimo che questa società è inaffidabile e che solo un iter autorizzativo pieno di lacune e omissioni, frutto di indecenti scelte politiche invece di oculate analisi tecniche, le ha potuto permettere di realizzare quello che è e rimane un impianto tanto dannoso per l’ambiente quanto rischioso per l’incolumità delle popolazioni e del territorio. Dal disastro di Fukushima, di cui ancora nessuno è in grado di comprendere la reale portata, la comunità scientifica sta apprendendo una lezione fondamentale: occorre rivedere il modo con cui sono state pensate le regole della sicurezza. Sarebbe importante che tale ripensamento coinvolgesse anche le altre installazioni ad alto rischio. Per non doversene pentire amaramente. |