Trastevere, Tristezza |
Scritto da Luca Trinchieri | ||||
Monday 07 July 2008 | ||||
Roma - C´è pure la televisione, per raccontare come la gioventù romana si diverte a Trastevere il venerdì sera. L´ora dell´aperitivo. Le vie attorno a piazza Trilussa gremite di persone. Cinque o sei bancarelle di venditori ambulanti. Un ragazzo ha appena regalato un paio di orecchini alla sua fidanzata. Le sirene della polizia colgono tutti di sorpresa. Non è un semplice controllo: tre macchine e una camionetta vuota che ha tutta l´impressione di dover essere riempita. È la prima operazione contro i venditori ambulanti dopo l´entrata in vigore del decreto sicurezza, che amplia i poteri per i sindaci in materia di ordine pubblico. Due metri più distante due ragazzini italiani, con il loro banchetto in tutto e per tutto uguale agli altri. Devono sbaraccare anche loro, ma gli agenti usano maniere molto più educate. Non li tengono per le braccia, non gli ammassano la merce. La ragazza raduna le poche cose che avevano in vendita. Lui è allibito, terrorizzato, e inizia a parlare nervosamente: «ve lo giuro, è la prima volta che vengo, lasciatemi andare». «Se prendiamo loro dobbiamo prendere anche voi», risponde un agente. Ma alla fine non sarà così. Il ragazzo si dispera, «sono di Roma, non posso credere che mi trattiate allo stesso modo che a quelli lì». Evidentemente è un discorso convincente. Si avvicina un signore in borghese che è lì a dirigere l´intera operazione. «Dottò, Capitano, Maresciallo, giuro che non lo farò mai più...». Si sbraccia, sembra un bambino appena messo in punizione dalla mamma. L´uomo in borghese si mostra irremovibile, ma si capisce subito che vuole solo dargli una lezione, e appena gli altri fermati - 7 persone, tutte straniere - non sono più a vista, lo lascia andare. A operazione conclusa vado dal signore in borghese, mi presento, «sono un giornalista e ho assistito alla scena. Perché avete fermato solo gli stranieri?», chiedo. La risposta è eloquente. «Portatelo via, identificatelo, e controllate - aggiunge guardandomi negli occhi - perché ha l´alito che puzza di birra». Già, la birra che stavo bevendo prima, e che mi è andata di traverso con tutto quello che succedeva. Per fortuna non è ancora reato, comunque. Mi portano in due verso il ducato dove sono radunati gli stranieri, tenendomi strette le mani sulle braccia. Non mi era mai successo, prima, ed è una sensazione davvero sgradevole. «Questo per adesso è nell´elenco dei fermati» dice l´uomo alla mia destra, anche lui in borghese, ad un collega. Spalle alla camionetta, mani fuori dalle tasche, cellulare sequestrato. «Perché avete fermato solo gli stranieri?». L´uomo con la polo rosa, quello che mi stringeva da destra, mi risponde, anche se - dice - non sarebbe tenuto: «perché questi sono tutti irregolari». Balle, ho visto con i miei occhi la donna togolese dare il proprio permesso di soggiorno al poliziotto, prima. Ma non mi aspettavo certo una risposta veritiera. «Certo che non avevi proprio nient´altro di meglio da fare», dice con sprezzo uno degli agenti. «Ho fatto una domanda, voglio una risposta». L´uomo in rosa, che ha la mia carta d´identità e sta scandendo il mio nome per radio si gira verso di me, «hai finito di parlare?» grida. A quanto pare anche rispondere alle domande costituisce un grave errore, e infatti un terzo poliziotto, defilato fino a poco prima si indirizza a me dicendo «guarda che a fare così peggiori solo la tua situazione». Chiedo di sapere i loro nomi e gradi, come avevo fatto già con l´uomo in borghese al principio, convinto che per legge sia un loro dovere identificarsi. Un altro poliziotto - ma quanti ne ho attorno, quattro, cinque? - mi da la sua versione della legge. «Vedi qual è la differenza, è che io posso chiederti come ti chiami e tu non puoi chiedermi niente, chi comanda sono io». Un suo collega aggiunge: «certo, se lo vuoi mettere per iscritto è diverso, ma non te lo consiglio, la cosa si farebbe piuttosto scomoda». La minaccia mancava, in effetti. Interrompe la discussione l´uomo in rosa. «Luca!», e con la mano mi fa cenno di andare da lui. «Vuoi andare?» «Voglio una risposta alla mia domanda», insisto. «Non hai capito - si spiega - hai voglia di chiuderla qui questa storia o no?». «Non sono stupido, so quello che mi sta dicendo, ma io voglio la mia risposta». Mi accompagna lontano dal furgone, in piazza Trilussa. Davanti a me l´uomo che comanda l´operazione, quello dell´alito puzzolente. Mi chiedo se tornare da lui, ma mi rendo conto che nel gioco del muro contro muro il suo è molto più duro. Aspetto ancora in piazza, osservo l´operazione concludersi, fino all´istante i cui gli immigrati vengono caricati sul furgone che si mischia al traffico del lungotevere. Non c´è altro da fare, questa sera, se non raccontare in giro quello che ho visto. Questa triste deriva, quest´inverno italiano che avanza. Oggi inizia l´estate. Evviva. Luca Trinchieri (21 giugno 2008) Aggiungi ai preferiti (0) | Riporta quest'articolo sul tuo sito! | Visualizzazioni: 234
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