REVISIONISMO: tanti piccoli Hitler |
Scritto da Alessandro Robecchi (Il Manifesto) | ||||
Friday 26 September 2008 | ||||
La frase è di quelle che fanno fare un salto sulla sedia: «Già una volta c'è stato un tal signore che all'inizio sembrava un democratico e che poi ha fatto quello che ha fatto». Parole (e musica) di Silvio Berlusconi, che stabilisce un altro record: è il primo leader mondiale nel dopoguerra ad attribuire una patente di democrazia nientemeno che a Hitler, forse punta al Guinness dei primati. Avendo decine di portavoce, giannizzeri e camerieri, Silvio Berlusconi è stato subito protetto da una fitta cortina di parole.
Voleva solo polemizzare con il presidente iraniano, non l'ha fatto apposta, non è cattivo, lo disegnano così, e tutte le scemenze che si sentono in contorno alle pittoresche esibizioni del capo del governo. Ma le parole restano, e anche se pure i sassi sanno che Hitler non è stato democratico nemmeno all'asilo, nemmeno in un attimo di distrazione, nemmeno per un nanosecondo e meno che mai «all'inizio», l'ultima esternazione porta il suo piccolo mattoncino alla costruzione della Storia riveduta e corretta. Direte: ci vuol altro per fare il revisionismo storico! E infatti c'è molto altro. Appena una settimana fa, per dire, lo stesso Berlusconi, raggiunto dalla domanda «Lei è antifascista?», aveva risposto con un secco «Io penso a lavorare», una frase che dice molto. C'è il ministro della difesa che inneggia alle scelte dei repubblichini di Salò. C'è la serena analisi storica del sindaco di Roma, per cui il fascismo non era niente male prima di distrarsi un attimo e varare le leggi razziali (ops! gli sono scappate). Insomma, ad Alemanno non dispiaceva per niente, il Puzzone, almeno «all'inizio». Esattamente quel che dice Berlusconi del Führer, quel famoso democratico (all'inizio). Siamo garantisti, non siamo di quelli che pensano che tre indizi fanno una prova, ma non vorremmo arrivare al punto che cinquanta indizi fanno un campo di sterminio. E i segnali sono davvero tanti, troppi, per non allarmare qualunque democratico italiano. Le incredibili esternazioni di Dell'Utri sui libri di storia nelle scuole, che vanno riscritti perché c'è troppa Resistenza. I manifesti a Roma con scritto «me ne frego». Il crociato Borghezio in versione neo-nazi a Colonia. La signora Santanché che implora di entrare in Forza Italia dopo aver inneggiato al Ventennio. I numerosi deputati apertamente fascisti eletti con le liste del PdL. Potrei continuare a lungo. Non c'è giorno che la cronaca non offra le gesta di qualche ardito che porta il suo mattoncino al cantiere del revisionismo. Manuela Clerici, di An, presidente di Viareggio Versilia Congressi Spa, vuole levare dal palazzo la lapide commemorativa della strage di Sant'Anna di Stazzema, ci ha provato anche con le sue mani, dopo che i dipendenti si erano rifiutati. Altra cronaca: il 20 settembre si celebra la breccia di Porta Pia, bene, uno pensa: ditemi qualcosa di laico. E invece ci si ritrova al cospetto di un commosso ricordo dei soldati papalini che eroicamente difendevano lo Stato Pontificio. E allora, quanti indizi servono per fare una prova? È abbastanza evidente che nella sua sostanza ideologica l'area culturale in cui naviga e prospera la destra italiana vive con fastidio certe evidenze storiche. Pensa - e lo dice - che quel trucido periodo di ferocia e ingiustizia che fu il fascismo non era proprio tutto da buttare. Perché tanto astio? A parte la voglia di rivincita degli sconfitti, vien da pensare, c'è una certa urgenza di rivalutare quei metodi: uomo forte, decisionismo, il duce ha sempre ragione, saluto al duce (e il grembiulino, l'alzabandiera, a quando i littoriali? E l'Impero?), un fascino irresistibile. Insomma, uno mediatico simile a quello che si vede ogni sera nei telegiornali Mediaset e nella propaganda governativa, una voglia sfrenata di «uomo della provvidenza», la tentazione di vedere nel bilanciamento dei poteri di una democrazia non una conquista, ma un fastidioso ostacolo. Non è antifascista, ma pensa a lavorare. Bravo! Tanto se i treni non arrivano in orario, per tacere degli aerei, è colpa dei sindacati. Nostalgia canaglia. Alessandro Robecchi (Il Manifesto) Aggiungi ai preferiti (0) | Riporta quest'articolo sul tuo sito! | Visualizzazioni: 267
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Ultimo aggiornamento ( Monday 29 September 2008 ) |